Hamilton, William

Dizionario storico delle scienze naturali a Napoli dal Rinascimento all’Illuminismo


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Sir William Douglas Hamilton (Scozia, 13 dicembre 1730 – Londra, 6 aprile 1803), diplomatico britannico, è stato un antiquario, archeologo e vulcanologo studioso del Vesuvio.

Cenni biografici

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William Hamilton nasce in Scozia il 13 dicembre del 1730, in una famiglia aristocratica, da Lord Archibald duca di Hamilton e governatore della Giamaica e da Lady Jane Hamilton, figlia del sesto conte di Abercorn.
A diciassette anni intraprende la carriera militare, arruolandosi nelle Guardie Reali e partecipando poi alla Guerra delle Fiandre; tuttavia, si rende ben presto conto che i suoi interessi sono culturali e artistici, piuttosto che bellici.
Nel 1758 sposa una ricca ereditiera, Catherine Barlow, lascia l’esercito ed entra nella vita politica, con un seggio alla camera dei comuni. La fragile salute della moglie, che necessita di un clima più mite, lo spinge a chiedere l’incarico, in quel momento vacante, di Inviato Straordinario di sua Maestà Britannica nel Regno delle Due Sicilie. E così, nel 1764, si trasferisce a Napoli come ambasciatore del re d’Inghilterra presso la corte di Ferdinando di Borbone e Maria Carolina e conserverà questo incarico per ben 36 anni, rinsaldando il legame tra l’Inghilterra e Napoli.
Appassionato cultore del mondo classico, collezionista e antiquario dai gusti raffinati, rimane colpito dallo spettacolo dell’attività vulcanica e comincia a dedicarsi all’osservazione del Vesuvio e dei Campi Flegrei.
Rimasto vedovo nel 1782, si risposa nel 1791 con la giovanissima, bella e affascinante Emma Lyon, arrivata da Londra a Napoli nell’aprile del 1786, mandata dal nipote di Hamilton, Charles Francis Greville, che ne era stato l’amante e voleva sbarazzarsene consigliandola allo zio che avrebbe avuto così un pò di compagnia. Emma è una fanciulla dal passato equivoco, che intreccerà poi una relazione amorosa e scandalosa con l’ammiraglio Horatio Nelson, nonostante fosse diventata Lady Hamilton.
Nel 1800 Hamilton ritorna in Inghilterra; morirà a Londra il 6 aprile 1803.

Contributo alle scienze naturali in Napoli

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“Hamilton, a cagione di esempio, seppe procurarsi un’esistenza piacevole, e se la gode, ora che la sua vita volge al tramonto. Il suo quartiere, che dispose ed arredò alla foggia d’Inghilterra, è graziosissimo, e la vista specialmente che gode da una camera di angolo, è forse unica al mondo. Vede il mare, in lontananza Capri, a destra Posillipo, più vicino la passeggiata della Villa Reale; a sinistra un antico convento di gesuiti, e più lontano la riviera, da Sorrento al Capo Minerva. Credo sarebbe difficile rinvenire in Europa altra vista eguale, per lo meno al centro di città vasta e popolata. Hamilton è uomo dotato di gusto squisito, e dopo avere vagato in tutti i regni del creato, ha finito per rinvenire il capo d’opera della creazione, in una bellissima giovane.” (Goethe J. W. von, Ricordi di viaggio in Italia nel 1786-87, p. 241)

Scrive così Goethe di ritorno da una visita, nel marzo del 1787, nella dimora napoletana di William Hamilton, una splendida abitazione diventata ben presto un luogo di incontro per gli intellettuali e i viaggiatori, famosa per i ricevimenti mondani e musicali. Palazzo Sessa, nel quartiere San Ferdinando, il più elegante della città, è sede dell’ambasciata inglese a Napoli e Hamilton vi abita dal 1764 al 1800, quando farà ritorno in Inghilterra.
L’interesse suscitato dal Vesuvio lo spinge ben presto (è una delle prime decisioni prese dal diplomatico, in quanto ne fa cenno già nella corrispondenza del 1768), a prendere anche in affitto una villa in campagna, tra Torre del Greco e Torre Annunziata, per poter osservare meglio il vulcano con i suoi potenti cannocchiali e da dove partire per le escursioni. Immersa in un incantevole paesaggio vesuviano, è la meta obbligata degli inglesi suoi ospiti. Villa Angelica (o Palazzo Salvatore), viene chiamata così da Hamilton, forse in onore della famosa pittrice Angelica Kauffan, a cui commissiona il ritratto di Emma Lyon nel luglio del 1786.
Durante il suo lungo soggiorno a Napoli, acquista a Posillipo (verso il 1784-85) un’altra villa storica: Villa Emma, detta anche casino di W. Hamilton, posta sulla spiaggia di Donn’Anna, oggi Bagni Elena.
Hamilton si trova subito bene in città, dove, accanto all’alta società, c’è un vivace ambiente culturale, letterario, artistico e scientifico; l’impegno come diplomatico gli permette di dedicarsi alle sue passioni, in primo luogo all’archeologia.
In qualità di ambasciatore inglese, Hamiton ha l’incarico di inviare resoconti sulla situazione nel Regno delle Due Sicilie, favorire i rapporti commerciali tra i due paesi e fornire sostegno agli inglesi in arrivo a Napoli. Ma nel corso dei trentasei anni di dimora in questa città, ne diventa una figura importante, centrale della vita culturale.
Dotato di uno spiccato senso estetico, oltre che di un notevole patrimonio, con la passione per le antichità classiche, Lord Hamilton è uno tra i più famosi collezionisti di opere d’arte e di oggetti antichi. Appassionato studioso dei resti di Pompei ed Ercolano, rimane folgorato dallo spettacolo dell’eruzione vesuviana del 28 marzo 1766. Da questo momento comincia le osservazioni dell’attività vulcanica, inviando resoconti alla Royal Society di Londra, pubblicati regolarmente nelle Phylosophical Transaction, a partire dalle lettere del 1766 (edite nel 1767).

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“Poiché ho assistito in modo particolare ai vari cambiamenti del Monte Vesuvio, dal 17 novembre 1764, giorno del mio arrivo in questa capitale, mi lusingo, che le mie osservazioni non saranno inaccettabili a Vostra Signoria, tanto più che questo Vulcano ha fatto ultimamente un'eruzione molto considerevole. Mi limiterò semplicemente alle molte esibizioni straordinarie che sono venute sotto la mia stessa ispezione, e lascerò la loro spiegazione ai più dotti in filosofia naturale.” (Hamilton, Two letters…in PT 1767, lettera da Napoli 10 giugno 1766).

Il primo articolo vesuviano pubblicato nelle Philosophical Transactions risale al 1768 e riguarda l’eruzione dell’anno precedente (An account of the eruption of Mount Vesuvius, in 1767, received january 24, 1768). Le tre tavole che completano il testo mostrano il cratere nella fase più spettacolare del fenomeno, nel rispetto del dato reale da cui trapela il gusto estetico per il sublime.
Le sue comunicazioni inviate alla Royal Society contengono osservazioni dettagliate dell’attività vulcanica e dei mutamenti del paesaggio. A partire dal 1768, va maturando la necessità di allargare l’indagine a tutta l’area circostante il Vesuvio, ai Campi Flegrei, in particolare Monte Nuovo e Solfatara. Parallelamente, si fa strada, nella sua mente, una nuova visione della nascita delle montagne.
Lo dirà esplicitamente nei Campi Phlaegraei (1776-79, vol. I, p. 36): “le Montagne sono prodotte dai Vulcani, e non i Vulcani prodotti dalle Montagne”, prendendo le distanze così da Buffon, secondo il quale le montagne sono il risultato di sedimentazioni dovute all’acqua e non a fuochi sotterranei. Invece, per Hamilton i vulcani assumono un ruolo di primo piano nella conformazione della terra e soprattutto nella formazione dei rilievi, con “un fenomeno creativo, non distruttivo” (p. 86).
Nel 1769, dopo aver visitato anche l’Etna e le Eolie, ribadisce, nella lettera del 16 ottobre 1770 (P.T. 1771), che, al contrario di quanto comunemente ritenuto, la formazione delle montagne è il risultato in gran parte dell’azione di un fuoco sotterraneo, che porta a esplosioni improvvise e violente. Decisivo, per questa sua nuova consapevolezza, lo studio di Pompei, Ercolano e Monte Nuovo.

Tra il 1776 e il 1779, vede la luce il celebre Campi Phlegraei, observations on the Volcanoes of the Two Sicilies, un’opera che rappresenta l’apice dell’iconografia geologica e paesaggistica della seconda metà del Settecento. Diversamente da quello che fa intendere il titolo, non si occupa solo dei Campi Flegrei, ma anche dell’Etna e delle Eolie, come poi spiegato nel sottotitolo.
Il contenuto di Campi Phlegraei è in sostanza la raccolta di tutti i resoconti inviati nel corso degli anni alla Royal Society. In realtà, questi vengono pubblicati una prima volta a Londra nel 1772 con il titolo Observations on Mount Vesuvius, Mount Etna and other Volcanoes, tuttavia Hamilton non rimane soddisfatto del risultato poiché gli appare scadente l’apparato iconografico. Un’unica cartina topografica senza indicazione di strati geologici e quattro piccole incisioni per l’ambasciatore non riuscivano a rendere l’idea di un paesaggio complesso e dei fenomeni straordinari, “un paesaggio così insolito, e a persone che non conoscono per niente questa parte d’Italia” (p. 5). Dunque, come ci spiega lui stesso nelle prime pagine dei Campi Phlegraei, appena rientrato a Napoli dopo una breve vacanza in Inghilterra, dà l’incarico al pittore Pietro Fabris, ritenendolo il migliore nel campo, di raffigurare le località oggetto delle osservazioni:

“Subito dopo essere rientrato qui dall’Inghilterra, impiegai il signor Peter Fabris, un artista ricco di ingegno e di talento, originario della Gran Bretagna, e lo incaricai di eseguire i disegni degli interessanti luoghi descritti nelle mie relazioni, avendo cura di riprodurre, nei loro veri colori, tutte le stratificazioni geologiche.” (p. 5)

Fabris, attivo a Napoli tra il 1756 e il 1792, prima di arrivare a questa collaborazione impegnativa, aveva già lavorato per Hamilton fin dal 1769, probabilmente in maniera saltuaria e per la realizzazione di disegni per uso personale.
Il contenuto dell’opera è quello delle Observations con l’aggiunta di una lettera introduttiva e soprattutto dello splendido apparato iconografico a colori. Si tratta di 54 tavole di Fabris corredate da didascalie, la maggior parte appartenenti alla collezione personale di Hamilton.

“Avendo il signor Fabris completato la detta collezione, sotto i miei occhi e la mia direzione, con la massima fedeltà e con altrettanta eleganza e precisione, ebbi desiderio che venisse offerto al pubblico quanto era stato, in prima istanza, creato per mia personale utilità” (p. 5-6).

Realizzate dunque inizialmente per suo piacere personale, le immagini vengono utilizzate per il vasto pubblico e inserite in un’opera a stampa. Esse diventano fondamentali per far comprendere i fenomeni vulcanici all’estero, in Inghilterra in particolar modo. Devono rispecchiare la realtà senza orpelli superflui; la presenza di figure umane risponde all’esigenza di comprendere le dimensioni, non certo per semplice abbellimento o animazione della scena.
Le tavole mostrano anche l’utilità dei fenomeni vulcanici: i cavatori che trasformano la lava per lastricare le strade, i bagnanti che si immergono nelle acque minerali a scopo terapeutico. Hamilton segue e dirige la mano del pittore per la realizzazione di tavole di estremo rigore scientifico oltre che di raffinata eleganza.
Non solo sovrintende al lavoro di Fabris, ma si occupa anche di tutta la parte tipografica, caricandosi dell’aggravio economico. Lord Hamilton fa tutto da sé: scrive, traduce, corregge e finanzia un’opera, scritta in inglese e francese, di grande perfezione, estremamente faticosa e molto costosa.
Tre anni dopo la pubblicazione, nell’agosto del 1779, un’altra eruzione costringerà Hamilton a pubblicare un Supplement con altre cinque tavole.
Dopo l’impresa dei Campi Phlegraei, gli studi antiquari di Hamilton, da sempre ritenuti dall’autore strettamente legati a quelli naturalistici, risentono della maturazione acquisita e si allontanano dalla logica solo estetica prevalente nella prima pubblicazione Collection of Etruscan, Greek, and Roman Antiquities (1766).
Difatti, i lavori antiquari realizzati a partire dal 1777 (quindi successivi a Campi Phlegraei), presentano immagini precise ma essenziali, che poco o niente concedono agli ornamenti, e il testo è costituito solo dalle didascalie a spiegazione delle tavole. Le opere di questo periodo, come Account of the Discovered of Pompei, 1777, mostrano questo rigore scientifico che intreccia testo e figure.
Collection of engravings (1791-95), è una sorta di seguito a Greek and Roman ma solo per l’argomento, in quanto la configurazione dell’opera è ben diversa: il testo è costituito dal commento alle tavole, questa volta non colorate per ottenere una maggior efficacia visiva. Esse vengono realizzate da William Tischbein, artista tedesco direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, scelto da Hamilton per la maestria nella riproduzione fedele e precisa.
Per ciò che concerne gli studi naturalistici, in questi anni successivi a Campi Phlegraei, Hamilton invia alla Royal Society due lavori: An Account of the Earthquakes which happened in Italy, from February to May 1783 (pubblicato anche in italiano) del 1783 e Some Particulars of the present State of Mount Vesuvious; with the Account of a Journey into the Province of Abruzzo, and a Voyage to the Island of Ponza del 1786.
Nel primo, Hamilton riporta le osservazioni svolte nel viaggio in Calabria dopo il terribile terremoto del 1783. In questo scritto, ipotizza l’esistenza di un vulcano sottomarino la cui attività avrebbe provocato le scosse. Non ci sono immagini: Hamilton ha fretta di pubblicare le sue prime impressioni, prese a caldo, e inoltre è a conoscenza di un’opera illustrata sulla stessa catastrofe, a cura della Reale Accademia delle Scienze di Napoli (M. Sarconi, Istoria de’ fenomeni del tremoto avvenuto nelle Calabrie…, 1784).
In Some Particulars…, pubblicato nel 1786, dedicato al viaggio alle isole pontine, Hamilton sostiene l’origine vulcanica delle rocce basaltiche e dei tufi delle isole.

Impatto nel contesto europeo ed eredità intellettuale

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Nel corso della sua lunga permanenza a Napoli, Hamilton diventa un protagonista della vita culturale e degli studi antiquari naturalistici nella comunità scientifica italiana ed europea.
Le sue continue e accurate osservazioni vulcanologiche nel Regno di Napoli inviate alla Royal Society di Londra, vengono lette nelle adunanze e pubblicate negli atti. Il suo lavoro contribuisce a far conoscere meglio all’estero e soprattutto in Inghilterra l’attività vulcanica e i conseguenti mutamenti del paesaggio. È proprio la preoccupazione di far comprendere bene a chi non è sul posto quello che accade intorno al vulcano a spingerlo verso la realizzazione dell’impresa editoriale dei Campi Phlegraei.
Con le magnifiche illustrazioni aderenti al vero ma al contempo di straordinaria eleganza, con la novità del colore, Hamilton raggiunge l’apice di una tendenza culturale cosmopolita del Regno, dedita alle osservazioni dell’area vulcanica.
Egli comprende l’importanza di studiare in maniera continua e sistematica l’attività del Vesuvio, non solo dunque durante le fasi più intense, ma anche nei periodi di calma, per capire la dinamica eruttiva. In tal senso, anche la forma e il colore del fumo emesso dal vulcano possono fornire indicazioni e permettere di fare previsioni. Hamilton sottolinea così la necessità di una sorveglianza del vulcano, con osservazioni continue e descrizioni accurate.
Agli occhi di Hamilton, il Vesuvio, pur nella sua pericolosità, appare come un elemento buono e creativo, in grado di rinnovare e arricchire il paesaggio circostante.

Bibliografia

Opere di William Hamilton

  • Collection of Etruscan, Greek, and Roman Antiquities, Napoli 1766
  • Antiquités étrusques, grecques et rom. tirées du cabinet de M. Hamilton, Hancarville P. F. H. de, Napoli 1766-67, voll. 4
  • An account of the eruption of Mount Vesuvius, in 1767, received january 24, 1768
  • Observations on Mount Vesuvius, Mount Etna and other Volcanoes, Londra 1772
  • Campi Phlegrei, observations on the Volcanoes of the Two Sicilies, Napoli 1776-
  • Account of the Discovered of Pompei, 1777
  • Supplement to the Campi Phlegrei, being an account of the great eruption of Mount Vesuvius in August 1779, Napoli I779
  • An Account of the Earthquakes which happened in Italy, from February to May 1783
  • Some Particulars of the present State of Mount Vesuvious; with the Account of a Journey into the Province of Abruzzo, and a Voyage to the Island of Ponza, Londra 1786
  • Collection of engravings, 1791-95
  • Collection of engravings from ancient vases, now in the possession of M. W. Hamilton, Tischbein W., Napoli 1791, voll. 4.
  • An account of the late eruption of Mount Vesuvius, Londra 1795

Studi

  • Luca Ciancio, Le colonne del tempo. Il Tempio di Serapide a Pozzuoli nella storia della geologia, dell’archeologia e dell’arte (1750-1900), Edifir, Firenze, 2009
  • Johann Wolfgang von Goethe, Ricordi di viaggio in Italia nel 1786-87, trad. di Augusto di Cossilla, Milano, Manini, 1875
  • Carlo Knigh, L’impresa editoriale dei Campi Phlegraei, Introduzione alla prima ed. italiana dei Campi Phlegraei, Napoli, Grimaldi, 2000
  • Maria Toscano, Gli Archivi del mondo. Antiquaria, storia naturale e collezionismo nel secondo Settecento, Edifir, Firenze, 2009

ARTICLE WRITTEN BY ROSSELLA DE CEGLIE | STORIADELLACAMPANIA.IT © 2022

Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

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